Laura Boldrini, già Presidente della Camera, parlamentare del Partito democratico e Presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo.
Lunedì notte la Casa Bianca ha pubblicato il piano per Gaza dopo l’incontro tra Trump e Netanyahu. Una versione differente da quella a cui Hamas aveva dato l’ok.
Il popolo palestinese subisce da due anni un vero e proprio genocidio, un martirio senza precedenti. Quindi la prospettiva di una tregua che almeno allevi le sofferenze degli abitanti di Gaza, che apra agli aiuti umanitari, che ripristini almeno le condizioni essenziali di vita, va accolta con favore. Quel piano è una base di partenza su cui ragionare, ma non possiamo non evidenziare come sia sbilanciato verso Israele e non coinvolga i palestinesi nella fase di transizione, come hanno fatto notare alcuni esponenti politici palestinesi. Il che è abbastanza significativo: come si può decidere del futuro dei palestinesi senza includerli a pieno titolo? La versione resa pubblica, approvata solo da Netanyahu ma non ancora da Hamas, a mio avviso parte da un presupposto sbagliato e cioè evita di affermare che sia Netanyahu a destabilizzare la regione con i bombardamenti in Siria, Libano, Qatar e Iran rischiando di scatenare un conflitto regionale. Ed è Netanyahu che ha raso al suolo la Striscia di Gaza. Inoltre non è lungimirante imporre a Gaza il controllo di un organismo presieduto da Trump e Blair senza includere a pieno titolo i palestinesi. E’ un approccio da più parti definito coloniale. Per non parlare del fatto che Tony Blair non è assolutamente ben visto in Medio Oriente.
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Quindi secondo lei va respinto?
Non sono certo io a doverlo dire. Sono i palestinesi a doversi esprimere. In ogni caso, come ho già detto, penso che possa considerarsi una base di partenza. Ha ragione Mustafa Barghouti che ieri sera alla CNN, pur restando molto critico sul piano, ha dichiarato che l’urgenza, in questo momento, è fermare il genocidio e se il piano, come sembrerebbe, sancisce il fallimento del piano di Netanyahu della pulizia etnica della Striscia, è un fatto positivo. Il punto vero sono tutte le insidie che si nascondono in questo piano, come la possibilità lasciata a Netanyahu di ricominciare la guerra per qualsiasi ragione. Ad esempio, chi garantisce che, una volta rilasciati gli ostaggi, l’Idf non riprenda con la sua opera di distruzione? Dopo il vertice con Trump, Netanyahu ha dichiarato che il ritiro delle truppe sarà molto lento e graduale. Il giorno dopo aveva già cambiato idea: l’Idf controllerà la maggior parte della Striscia. Capisce che è un equilibrio molto precario e che può saltare con qualsiasi pretesto.
La mattanza di Gaza e il sostegno alla Global Sumud Flotilla hanno generato un grande movimento di protesta che ha come protagonisti i giovani. Se l’aspettava?
Giovani, studenti e studentesse, sono stati tra i primissimi a mobilitarsi per la Palestina, fin da subito dopo la reazione di Israele al 7 ottobre, quando la sproporzione della risposta era già più che evidente a chi volesse vederla. Ricordiamo tutte e tutti le manifestazioni nelle università e le richieste che gli atenei interrompessero le collaborazioni con Israele per via del double use delle tecnologie sviluppate in ambienti universitari e spesso ricondotte a usi militari. Una richiesta che, adesso, molti senati accademici stanno finalmente accogliendo perché quelle ragazze e quei ragazzi avevano ragione. Contro di loro si è subito scatenata la solita retorica che punta a sminuire lo slancio dei giovani e a criminalizzare il dissenso. E non si sono mai arresi. Per questo non mi meraviglia che fossero così numerosi nelle piazze dello scorso 22 settembre e che tante persone fossero presenti anche nei presidi della CGIL del venerdì precedente. Ma quelle piazze sono state molto di più. Hanno mobilitato sì i giovani e le giovani, ma c’erano persone di tutte le età e di tutte le estrazioni: c’erano famiglie con i bambini, anziani, lavoratrici e lavoratori, giornalisti, avvocati. C’erano le ONG e intere classi con i propri insegnanti.
Pensa che quelle piazze abbiano avuto degli effetti sulla politica italiana?
Da moltissimo tempo non si vedeva una mobilitazione del genere con centinaia di migliaia di persone in tutto il Paese, perfino in piccoli centri della provincia più recondita. E le manifestazioni stanno continuando ovunque anche con azioni come il blocco delle navi nei porti di Livorno e Genova. Tutto questo, insieme alle pressioni che incessabilmente le opposizioni fanno in Parlamento da tempo, ha costretto il governo italiano a provare a dare un segnale, per quanto debole e inefficace. Abbiamo sentito la presidente Meloni parlare per la prima volta di riconoscimento dello Stato di Palestina. Ma ovviamente ponendo condizioni che lo rendono del tutto inutile. Uno Stato o si riconosce o non si riconosce. Non esistono condizioni. E vorrei ricordare che riconoscere la Palestina significa riconoscere l’Autorità nazionale palestinese, non Hamas. A meno che non vogliamo sostenere che gli oltre 150 Stati del mondo che riconoscono la Palestina, siano alleati di Hamas. Ed è evidente che non è una tesi sostenibile. Ora la stessa retorica criminalizzante che è stata usata contro gli studenti, contro la CGIL e poi contro le mobilitazioni dello sciopero generale indetto da Usb, si sta tentando di ripetere contro la Global Sumud Flotilla, ma non attecchirà se non tra chi non ha mai apprezzato l’iniziativa. C’è un sostegno diffusissimo verso questa missione che, ricordo, è legale, umanitaria e pacifica, a differenza dell’assedio di Israele su Gaza. E c’è un sostegno diffusissimo anche perché queste barche disarmate stanno tentando di fare quello che i governi del cosiddetto “occidente” avrebbero dovuto fare da tempo: rompere l’assedio, fermare il genocidio e salvare il diritto internazionale. E vorrei essere chiara su un aspetto: la missione della Flotilla è diventata pericolosa perché Israele la minaccia, come abbiamo visto con l’attacco di qualche notte fa in acque internazionali. Quindi se dovesse succedere qualcosa alle barche della Flotilla, la responsabilità non è della missione, è di chi la attacca.
Una protesta a cui la presidente del Consiglio e i ministri del suo governo rispondono accusando i pacifisti e gli attivisti della “Flotilla” di usare Gaza come una clava contro il Governo.
Il vittimismo a cui Giorgia Meloni fa appello ogni volta che è in difficoltà ormai rasenta il ridicolo e la mitomania. Come si può sostenere che una missione composta da circa 50 barche con delegazioni di ben 44 Paesi del mondo possa essere stata organizzata per colpire il governo italiano? L’Italia è un grande paese? Sono d’accordo, ma se questo non è solo uno slogan propagandistico, deve trasformarsi in azioni concrete: Meloni fermi il memorandum firmato con Israele per l’uso di tecnologie militari, sospenda il commercio con Tel Aviv, voti in Ue per la sospensione dell’accordo con Israele e per le sanzioni e, anzi, ne chieda di più efficaci.
La Global Sumud Flotilla ha già subito diversi attacchi. L’ultimo, il peggiore, nella notte tra il 23 e il 24 settembre. Il Ministro Crosetto ha inviato una fregata per soccorrere barche ed equipaggi in caso di necessità. Pensa sia sufficiente?
No, non lo è. Il governo dovrebbe preoccuparsi di prevenire gli attacchi. Certo, va bene che ci sia una nave della Marina Militare che possa soccorrere le barche. Ma è necessario muoversi perché non avvengano altri episodi. Israele ha già dimostrato in passato di non farsi troppi scrupoli a sparare contro missioni come questa, facendo anche delle vittime. L’attacco del 23 settembre ha colpito anche barche che battono bandiera italiana. Questo è tecnicamente un attacco all’Italia: un governo che abbia un briciolo di orgoglio nazionale, come questo sostiene di avere, avrebbe già dovuto convocare l’ambasciatore israeliano e pretendere protezione per la Flotilla sottolineando che qualsiasi altra azione che metta a repentaglio le cittadine e i cittadini italiani a bordo delle barche sarebbe considerato come un atto ostile verso l’Italia. Cosa aspettano a farlo? Meloni, invece, accusa la Flotilla, inclusi i parlamentari che sono a bordo, di essere irresponsabili. È davvero il mondo alla rovescia.
Centocinquantuno Paesi hanno riconosciuto lo Stato palestinese. Meloni pone condizioni.
Il riconoscimento dello Stato di Palestina non è più rimandabile e porre condizioni è fuori da ogni logica. È un atto politico importante ma precisiamo anche che se non si va oltre rimane un gesto simbolico. Devono seguire misure concrete che puntino a costringere Netanyahu a fermarsi. Lo ha già fatto la Spagna, ma non basta. Meloni ha dovuto tentare di dare un segnale alle piazze stracolme di gente che chiede lo stop al genocidio. Nei fatti, però, rimane una fedele alleata di Trump e Netanyahu. Per questo lancia proposte senza nessuna efficacia reale, buone solo a fare propaganda. Qualcuno ha sentito una reazione, seppur minima, al delirante discorso di Netanyahu all’Onu da parte di Meloni? Mentre centinaia di delegazioni lasciavano la Sala dell’assemblea generale contestando Netanyahu che pronunciava un profluvio di bugie clamorose, di negazionismo, di accuse di antisemitismo a chiunque, dalle parti di Palazzo Chigi neanche una parola. Il prossimo giovedì il governo presenterà la sua risoluzione con la proposta del riconoscimento dello Stato di Palestina e con le sue condizioni che, di fatto, lo rendono un mero esercizio di retorica mentre Netanyahu continua a sostenere che non ci sarà mai uno stato di Palestina. Noi presenteremo la nostra risoluzione: vedremo quanto Meloni e i suoi vogliono davvero fare qualcosa, qualsiasi cosa, per fermare il governo di Tel Aviv.